Il Centro di cultura animista “la via della vita” è un luogo, situato sulle sponde del lago di Garda, dove fare esperienza della cultura animista africana così come di altre culture, di stampo occidentale, ad essa ritenute affini e che aiutano a situare la spiritualità africana all’interno di un più grande e complesso culto della terra, delle radici e degli antenati, di cui, come vedremo presto, anche la nostra cultura è permeata.

È utile sgomberare subito il campo da interpretazioni fallaci e fuorvianti di termini quali cultura animista, antenati o cultura tradizionale africana.

Cultura animista non significa tanto (o soltanto) venerare o riconoscere l’anima del fiume o dell’albero, quanto l’idea di riconoscere l’intima corrispondenza tra la parte visibile di tutte le cose, viventi e non viventi, e quella invisibile che le anima; e la possibilità di inserirsi, attraverso l’ascolto sensibile e l’azione rituale, in tale corrispondenza.

L’anima del mondo e l’anima delle cose viventi, la natura e il mondo che ci circonda è simbolo Secondo gli antichi, l’anima delle cose viventi è allo stesso tempo individuale e collettiva. Ugualmente, si compone di un aspetto visibile (la sua natura esteriore, che ci circonda e verso la quale possiamo nutrire una reazione estetica) e uno invisibile, che “anima” la parte visibile e ne costituisce l’essenza (un po’ come la ghianda in cui è già custodita l’essenza della futura quercia).

Antenati sono per noi anzitutto gli antichi, da cui tutti discendiamo, e che per primi hanno riconosciuto l’intima corrispondenza tra l’anima dell’uomo e l’anima di tutte le cose, e hanno formulato pratiche e riti grazie ai quali riportare l’uomo in uno stato di armonia con il mondo che lo circonda.

Questo sapere antico non si è mai estinto nella memoria collettiva, è come un serpente che giace dormiente all’interno della nostra memoria collettiva, pronto ad essere risvegliato.

Numerosi pensatori e artisti moderni hanno rintracciato nei meandri della nostra cultura e “risvegliato il serpente”, e con esso la ricchezza dell’eredità dei “nostri morti”, i nostri antenati comuni. Ne è un esempio Carl Gustav Jung, che all’inizio del ‘900 ha esplorato i recessi dell’anima umana e fondato la psicologia del profondo.

O Igor Stravinsky, che sempre a inizio ‘900 ha scandalizzato la società benpensante europea rievocando, nel balletto “La Sacralità della primavera” (tradotto in italiano con “Sagra”, termine popolare, su cui riflettere).

Altro “antenato” degno di nota è lo psicologo americano James Hillman, allievo ed “erede” di Jung, che ha esploso l’eredità del maestro rispolverando le nostre radici antiche e mitologiche in quella che è diventata la “psicologia archetipica” e che, per primo, ha parlato di “deletteralizzare” certi termini. Siamo “vittime” di un certo stile archetipico (senex) che tende a prendere alla lettera tutto ciò con cui entriamo in contatto, dimenticandoci appunto del fatto che si tratta di uno degli stili con cui interpretare il mondo, uno fra tanti, ma non l’unico. Così, anche i termini animismo, antenati e cultura africana diventano monolitici nella loro interpretazione, spesso legata ad esperienze personali, ma possono ugualmente essere visti con uno stile diverso, o ancor meglio essere “visti in trasparenza”, ossia guardati attraverso lenti diverse, e così percepiti nel loro essere semplicemente immagine, simbolo, foriero di significati e interpretazioni diverse e multiple, che rendono onore alla complessità di ogni fenomeno e del mondo (è quello che ho tentato di fare in questo capitolo).

La spiritualità africana, infine, non è l’utilizzo di spilli e bambole per colpire nemici e vittime, sebbene anche questo esempio, che certa filmografia, soprattutto hollywoodiana, ci ha trasmesso sui culti africani, ci permette di intravedere l’esistenza di un’intima corrispondenza tra le energie degli uomini e quella delle cose (in questo caso le bambole e i loro componenti costitutivi – stoffe, legno, pitture – che, uniti, danno “vita” a questo oggetto che partecipa con i propri sensi alla corrispondenza di tutte le cose).

Questa intima corrispondenza tra le cose, che contraddistingue l’anima, in Africa è chiamata “forza vitale” e ad essa partecipano tutte le forme viventi.

La particolarità della spiritualità animista africana è il fatto che si siano conservati i culti per millenni (si dice che sia la più antica tra le civiltà della terra, e che derivi da quella egizia, che poi ha dato origine anche alla cultura greca da cui noi proveniamo).

Anche le bambole e gli spilloni esistono, ma passa sotto il nome di stregoneria, che i culti tradizionali cercano di contrastare.

Questa forza vitale è stata anche paragonata alla bomba atomica (non per niente si tratta di scoprire la reazione nucleare): una volta scoperta, la magia come la conoscenza scientifica, dipende dall’uso che ne fai. Anche in Africa, come in Italia e in tutto il mondo, ci sono i Saruman, i maghi neri, che utilizzano la magia per ottenere scopi personali con bambole e spilli (o altri strumenti più “moderni”), e ci sono i Gandalf, i maghi bianchi, che sostengono noi Frodo nell’attraversamento della terra di mezzo (la vita, o la zona di comfort) e ci aiutano a superare i nostri attaccamenti restituendo l’anello (il potere) alla terra (Mordor).

Tale riconnessione all’anima delle cose, o se vuoi la restituzione dell’anello, sono le mete di ogni viaggio e di ogni esistenza realmente appagante, e che, tanto la cultura animista africana quanto le culture  animiste “nostrane” consentono di vivere, esperienza dopo esperienza, pratica dopo pratica (il viaggio è la meta, ma soprattutto si tratta di culture pratiche, esperienziali, come tutte le attività svolte all’interno del centro).

Il serpente (o la bomba atomica), come detto, giace dormiente e attende di essere risvegliato in ogni individuo e nella comunità nel suo insieme; a questo mirano tutte le pratiche esperibili all’interno del centro – sia quelle di chiaro stampo africano, sia quelle di provenienza occidentale, tra cui la psicologia archetipica, il life-coaching immaginale, lo Yoga sciamanico, il Bagno di Foresta (Shinrin Yoku) e l’estetica giapponese, la pedagogia immaginale e la fenomenologia musicale (link alle diverse pagine di pratiche, riunite come sotto).

L’espressione “la via della vita”, infine, si pone in continuità con il centro di cultura tradizionale africana “Agbemò” (che in lingua locale significa appunto “la via della vita”), situato in Togo, Africa, a cui questo centro si ispira e si lega in un dialogo quotidiano che ne permea pratiche e attività.