Se hai un obiettivo a titolo personale, professionale o affettivo, o senti di avere un blocco che ti impedisce di realizzarti pienamente, puoi decidere di fare una cosa che per gli antichi era naturale. Nel mito greco, ad esempio, qualunque generale, condottiero o capo di governo consultava l’oracolo di Delfi prima di prendere qualsiasi decisione strategica per sé e per la sua vita, la sua famiglia, tribù, nazione.

Poi questa pratica è stata soppiantata da altri miti, che (apparentemente) si sono meglio adattati all’evolversi della storia. Uno di quei miti, che si è affermato ed è sopravvissuto fino alla nostra civiltà, è quello della fatica e dello sforzo personali, rappresentato da un eroe come Ercole. Secondo il mito, Ercole avrebbe compiuto le dodici fatiche per guadagnarsi la stima degli dei olimpici ed essere accolto al loro cospetto. Questa è una prospettiva che ha condizionato per secoli la mentalità occidentale, tanto che se oggi nutri un qualsiasi obiettivo a livello personale, professionale o affettivo, l’atteggiamento erculeo – darsi da fare in prima persona, con lo sforzo e la fatica personali – è la risposta che sorge automaticamente, anche quando comporta scontrarsi con altri (che diventano i mostri uccisi da Ercole nelle dodici fatiche).

Ercole era figlio di Zeus e quindi degno per sangue di sedere al cospetto degli Dei, ma sentiva di dover dare prova di sé e di espiare una colpa – quella di aver ucciso la propria famiglia. In realtà, come narra Euripide, mentre compiva questo gesto tremendo Ercole era totalmente in preda alla follia indotta dalla sua eterna rivale, la Dea Era, gelosa delle avventure sentimentali del marito Zeus e stizzita dei suoi continui successi come eroe e della sua felicità sulla Terra. Anche nella vita di Ercole, tutto avviene per mano delle divinità – soprattutto quelle scontente e che non hanno ricevuto le giuste attenzioni e i giusti meriti.

Ercole aveva certamente pagato il suo tributo al padre Zeus, riconoscendone i meriti per i suoi continui successi nella vita da guerriero e da eroe, ma si era “scordato” di fare altrettanto con la moglie di Zeus, dea del matrimonio, di cui godeva insieme a dei bellissimi figli. Per questo Era provoca la distruzione – per sua stessa mano – di ciò che è più caro (a lui come a Lei). Non per nulla, Eracle porta in sé il nome di Era, e non quello di Zeus:  chi non vorrebbe aver successo nell’eterna lotta chiamata lavoro ed essere accolto a casa da un bel partner e dei bei figli? Anche questo aspetto – quello della felicità famigliare e professionale – la nostra civiltà è informata dal mito di Ercole.

Come scrive James Hillman, fondatore della psicologia archetipica, le divinità non vogliono essere adorate, ma riconosciute. Gli antichi lo sapevano bene e per questo, prima di intraprendere qualsiasi azione significativa per la propria vita (e per quella di altri), raggiungevano l’isola di Delfi, dove l’oracolo li informava su quale fosse l’offerta da compiere e a quale altare (ossia a quale divinità).

In questo modo, azione dopo azione, offerta dopo offerta, affidavano la propria vita al mondo divino. Come scrive sempre Hillman (Revisione della Psicologia, 1975), offrendo all’altare di una divinità (una per volta), le riconosciamo tutte (James Hillman). Nulla veniva fatto in prima persona: attraverso l’offerta, uomo e divino creavano insieme gli eventi.

Quali vantaggi ha questo modo di fare rispetto alla posizione erculea?

Un primo vantaggio è di ordine pratico: l’invisibile – gli spiriti e le divinità – sanno meglio di chiunque individuo umano in cosa consista, a livello profondo, la felicità autentica per chi si rivolge a loro.

Un secondo vantaggio potremmo definirlo “ecologico”: la richiesta individuale viene realizzata in armonia con la volontà universale – l’ordine cosmico (che per gli esoteristi è l’Anima del mondo). In tal modo, non si fa torto a nessun essere senziente. In altri termini, non si genera quella reazione da parte dell’universo che i buddhisti chiamano karma (come invece quando si agisce da soli). Le divinità infatti sono spiriti universali e di natura, che creano le condizioni affinché il piano spirituale si unisca al piano materiale. Attraverso l’offerta rituale, si restituisce il controllo alla natura e al mondo, di cui le divinità sono l’aspetto invisibile (quella che.

Un terzo vantaggio è di ordine spirituale: ogni obiettivo o problema che incontriamo nella vita non è che un richiamo da parte del mondo divino a riunirci a lui, a ricordarci di essere semidei, degni di stare al suo cospetto – è una chiamata all’evoluzione e alla riscoperta delle nostre radici mitiche e spirituali – una chiamata a percorrere “la via della vita”.

Proprio perché viene fatta dagli albori dei tempi, questa è una scelta estremamente originale, che oggi puoi fare anche tu.

“La via della vita” è la traduzione del termine “Agbemò” con il quale gli africani del Togo designano un percorso nella spiritualità africana, che è la riscoperta delle radici profonde e comuni a tutti gli uomini. Nella cultura africana (come in tutte le tradizioni animiste), chiunque ha un obiettivo o un blocco si rivolge allo sciamano, che è la figura che dialoga con gli spiriti e con le divinità. Nulla viene fatto in prima persona, o peggio ancora attraverso lo sforzo e la fatica personali, perché per la mentalità africana questo equivale a lottare contro i mulini a vento: le condizioni materiali dell’esistenza, infatti, sono per l’Africano nient’altro che una conseguenza delle condizioni spirituali, sulle quali è fondamentale e necessario agire per modificare le prime.

Lo sciamano compie un consulto attraverso il quale entra in contatto le divinità legate a quel problema. Proprio come la cultura degli antichi Greci o degli Antichi Egizi, anche la cultura tradizionale africana è politeista: ogni divinità presiede a diversi aspetti della vita – l’abbondanza e il denaro, la protezione, la comunicazione, la famiglia e gli affetti, le relazioni, la realizzazione lavorativa, i cambiamenti, la guarigione dalle malattie (per fare solo alcuni esempi). Attraverso le immagini che emergono nel consulto, lo sciamano, come detto, riconosce a quale divinità rivolgersi per quel particolare problema o obiettivo e pattuisce con lei l’offerta da compiere e le prescrizioni da osservare perché la richiesta sia esaudita.

Compiere l’offerta è un altro modo per riconoscere le divinità. La spiritualità africana ha mantenuto e custodito nei secoli un sistema rituale fatto di conoscenze profonde della natura e delle sue leggi nascoste – un sistema che a quanto si dice deriva direttamente dall’Antico Egitto, da cui appresero anche gli antichi Greci, i precursori della nostra civiltà.  Proprio come noi, anche alle divinità piacciono certe cose e non piacciono certe altre. Alcune divinità prediligono cibi dolci, altre cibi salati, o piccanti. Qualcuna richiede uova, dolci e caramelle; altre prediligono cereali e legumi, e altre ancora alcol, pepe o peperoncino (per questo il prezzo del percorso varia notevolmente da caso a caso, anche e soprattutto in funzione dell’offerta da compiere).

All’offerta, compiuta ritualmente, segue la parte più difficile, che consiste nel praticare le istruzioni che vengono eventualmente fornite dopo l’offerta rituale (ad esempio una preghiera o un piccolo gesto rituale quotidiani) e nell’osservare i cambiamenti e gli eventi che accadono con fede consapevole. La fede consapevole non è una fede cieca, sconnessa dalla vita e dalla realtà, ma una fede calata nel processo e che trae nutrimento dalle piccole trasformazioni che, giorno dopo giorno portano al risultato richiesto. Finché un bel giorno, facendo altro (ad esempio in doccia o appena svegli), ti accorgi che ciò che avevi richiesto si è già realizzato, in una forma nuova e inattesa.

Grazie a numerosi viaggi e iniziazioni, ho appreso direttamente da uno sciamano africano la conduzione di consulti e rituali sciamanici, che posso ora compiere all’interno della Casa Animista a Manerba del Garda.

Sarei ingiusto se per pura modestia nascondessi che si tratta di un’opportunità unica nel suo genere: la cultura africana è stata  custodita segretamente per secoli ed è stato solo dopo un lento processo di cambiamento e di apertura che una comunità africana abbia accettato di condividere alcune conoscenze e iniziazioni con individui Yowo (bianchi), fino a poco tempo fa ritenuti incapaci di maneggiare queste forze per scopi pacifici e consapevoli (ne è un esempio la diffusione di alcune pratiche di magia nera, spesso confuse o assimilate superficialmente con quelle della spiritualità africana).

Anche nella comunità africana inizia tuttavia a farsi largo la consapevolezza che l’umanità sia arrivata a un punto cruciale nella sua evoluzione spirituale, un punto nel quale è importante che tutte le persone che desiderano compiere un passo evolutivo in chiave spirituale abbiano accesso agli strumenti per farlo, gradualmente anche a quelli che per anni sono stati custoditi e tenuti segreti per paura che finissero in cattive mani.

La spiritualità africana non è vista di buon occhio dal mondo occidentale (e cristiano), dove alcuni aspetti presi singolarmente (uno fra tutti le bamboline trafitte da spilli) hanno contribuito a creare un immaginario che ha contribuito ad assimilarla a fenomeni di stregoneria e di magia nera. A destare tanto timore è indubbiamente il riconoscimento della sua forza e potenza: basti pensare che, nel 1799, l’isola di Haiti diventò la prima colonia indipendente della storia, grazie a una rivoluzione organizzata dalla popolazione nera con il ricorso alla spiritualità africana (arrivata insieme agli schiavi deportati dall’Africa nelle colonie francesi). Si tratta indubbiamente di un potere molto forte che, come ogni potere, dipende dall’uso e dalle intenzioni di chi la usa (come d’altronde anche la bomba atomica).

Ti chiederai a questo punto perché le immagini dell’Africa trasmesse più frequentemente nei media occidentali dipingano un continente povero, arretrato e spesso in guerra. Questo punto andrebbe approfondito, ma tenterò di rispondere in breve:

  1. le immagini che si vedono nei media si riferiscono ad alcune realtà specifiche e non rappresentano certo un continente vasto e complesso come l’Africa (vengono scelte per un principio di efficenza, quando non tendenzialmente);
  2. la spiritualità africana è praticata solo da circa 30 milioni di persone, su quasi un miliardo e mezzo, e solo in alcuni Paesi della Costa occidentale;
  3. nell’Africa dove si pratica la spiritualità africana, che è quella che ho visitato personalmente, le condizioni di vita sono certamente prive di molte comodità diffuse nei Paesi occidentali; eppure, laddove son stato, specialmente nei centri dove si pratica la spiritualità africana, un pasto non viene rifiutato a nessuno.