Il Sasso

In un recente articolo abbiamo trattato del culto di una Dea antica, assimilato con la Dea Minerva romana ricorda da vicino un mito per rintracciare il quale ci faremo guidare, come Pollicino, da alcuni… “sassolini“.

Il promontorio roccioso che forma la Rocca (l’immagine della Dea sdraiata), il Sasso di San Giorgio che ne completa la fisionomia (il naso), rivelano, sia nella geologia, sia nella toponomastica del luogo, una presenza caratteristica e costante della pietra e della roccia. Camminando fra le viuzze di frazioni quali Solarolo, la Pieve Vecchia, Gardoncino, Balbiana, Montinellele è percepire come, anche a livello architettonico, la pietra antica (originale o ricostruita) sia un elemento largamente diffuso e valorizzato (elemento che abbiamo cercato di conservare, laddove possibile, anche all’interno della Casa Animista).

Questa presenza pervasiva della pietra e della roccia, unita al legame mitologico tra Manerba e Minerva, evocano un oggetto con il quale Minerva, anche nella sua versione greca (Atena), manteneva l’equilibrio sociale in caso di dispute all’interno della città: il Sasso di Minerva. Da Wikipedia:

Calculus Minervae è un’espressione proverbiale latina, traduzione del greco Ἀθηνᾶς ψῆφος (Athēnâs Psêphos). Letteralmente significa “pietruzza di Minerva” e sta ad indicare il voto decisivo espresso in una votazione tramite la deposizione di un coccio in una delle due urne, una per votare a favore, una contro.

L’espressione latina ha un’origine tarda, attorno alla fine del II – inizio III secolo. Il corrispettivo greco invece si riferisce ad un episodio descritto ne Le Eumenidi, tragedia di Eschilo: nella votazione della Boulé che doveva stabilire se Oreste doveva essere considerato colpevole per l’uccisione della madre Clitemnestra, la dea Atena in persona esprime il proprio voto, sancendo l’assoluzione dell’imputato.

Giunti a questo punto, un minimo di conoscenza della tragedia di Eschilo è necessario.

Uno alla volta

Le Eumenidi di Eschilo è una tragedia ambigua, di passaggio: dalla società matricentrica a quella patricentrica, tra divinità antiche e moderne (le Furie e le Eumenidi), tra uno stato di selvatichezza e uno di civiltà.

Non sono qui a sbandierare un’unione ideale tra gli opposti, o soluzioni facili del tipo “la verità sta nel mezzo”. Credo sia più necessario imparare a riconoscere le diverse manifestazioni della cultura e dell’Anima, i suoi diversi stili, per farli vivere dentro di noi (sia a livello individuale sia collettivo), uno alla volta, nella loro complessità e compresenza, seppur talvolta caotica o conflittuale. Quella in cui viviamo oggi è una società squilibratamente patricentrica, dove i valori legati alla sfera attiva o maschile predominano su quelli ricettivi o femminili, in tutti i campi della cultura. Riconoscerlo serve a ricordarci quali parti di noi hanno più bisogno di cura, di presenza, di ricerca consapevole e attenta, per non cadere nel cliché, in ciò che è più facile perché “alla moda”.

Uno strumento che può aiutarci a far convivere le nostre diverse parti, “una alla volta secondo la necessità” è la visione politeista. Far convivere il selvatico accanto al civile, la furia vendicatrice e la garante della giustizia, l’anima selvaggia e la socialità significa, in altri termini, lasciar convivere, uno alla volta, Pan e Atena, le Erinni e le Eumenidi, Dioniso e Zeus (per fare degli esempi). Riconoscere una divinità dietro ciascuno di questi aspetti della vita ci aiuta a comprendere che ognuna di queste “anime” che albergano dentro di noi è una manifestazione della nostra Anima, che va riconosciuta, “una alla volta”, e non giudicata, integrata o armonizzata secondo una qualsiasi norma.

Le parole di un antropologo e di un teologo politeista potranno meglio di me fornirvi qualche spunto per impararne il linguaggio. Ovviamente, per approfondire, potete scrivermi o partecipare ai seminari organizzati all’interno della Casa Animista. 

Gli Dei e le Dee riemergono dalle acque profonde in maniera esplosiva. La stessa cosa accade nella storia della Bella Addormentata, versione popolare di un antico mito greco. Il re e la regina danno un banchetto in onore della giovane figlia, ma una fata (o strega o Dea) non riceve l’invito. Benché dimenticata, essa vi si reca ugualmente, lanciando però un maleficio che farà addormentare la Bella. Il maleficio, in realtà, è un decreto di morte ma a questo punto un’altra fata (o strega o Dea) interviene. Non può scongiurare la morte né l’origine dimenticata di questa morte; può tuttavia attenuarla, trasformarla in un lungo periodo di giovanile latenza, durante il quale la principessa non è desta alla bellezza che dorme in lei. È necessario un altro avvenimento, il bacio di un principe (o di un orco o di un Dio), per riportare alla luce una nuova vita e una nuova fecondità. 

Parrebbe quasi che, nella nostra vita e nella nostra società, le trasformazioni della storia riflettono le contese degli Dei e delle Dee che, se rimossi o dimenticati, diventano una maledizione quotidiana.

Le opere di Eschilo sono qui pertinenti anche sotto un’altra luce. Nella sua celebre trilogia, l’Orestiade, Agamennone e suo figlio Oreste dimenticano il potere delle Furie (o Erinni) nella vita di tutti i giorni. A loro volta, però, la moglie di Agamennone, Clitennestra e il suo amante Egisto dimenticano il potere di Apollo. La maledizione che pesa su questa famiglia, gli altri di, sta nel fatto che fino a quando un suo membro trascurerà o le Furie o Apollo, la vita si presenterà sotto un aspetto tragico. Nella terza opera della trilogia, le Eumenidi, la maledizione è annullata, ma solo perché si è conclusa nei Cieli (sul monte Olimpo) grazie al potere di una terza divinità, Atena. Questa sa che non sarebbe realistico in un’era apollinea – un’età di crescente complessità nella vita militare e politica, di rapida urbanizzazione e tecnologia, in un periodo di esperti e specialisti, di acuta coscienza filosofica e di dolorosa riflessione – disconoscere il potere di Apollo, poiché i tempi rappresentano ciò che appartiene proprio al potere di Apollo. E nondimeno Atena riserva un posto anche alle Furie – guardiane degli stretti legami tra consanguinei, divinità ctonie dell’equilibrio ecologico della natura, sostenitrici della femminilità in un’epoca che maschilizzato le donne e effeminato gli uomini-poiché Atena riconosce in esse le radici profonde delle origini e radici profonde delle origini e del fato di un popolo apollineo.

Il suggerimento che ci offre Atena è di far posto a tutti gli Dei ogniqualvolta essi desiderino apparire quali risorse di significato. Ciò porta, non v’è dubbio, al politeismo. Ma la funzione di questo politeismo è di porre fine alla maledizione nella casa di Atreo, di spezzare il circolo vizioso, arbitrario e profetico degli Dei (quei conflitti di poteri, quella specie di oscillazione pendolare negli abissi del nostro essere), e di porre un termine al sonno perpetuo di una esistenza estetica affinché, ricevuto il bacio atteso, essa torni feconda, creativa, liberata e, come quel bacio, vibrante di un sentimento autentico. 

Un modo di ricondurre il sentimento nel pensiero è quello di rimitologizzarlo, ripopolarlo di Dei e Dee, sicché le astrazioni assumano una consistenza estetica e le idee tornino ad essere investite dalla passione. Ho già fatto notare come gli Dei e le Dee siano dimenticati quando i pensatori ne sostituiscono i nomi con concetti astratti, e quando le loro storie sono razionalisticamente trasformate in schemi di logica formale. Le immagini diventano allora idee, e le narrazioni sillogismi. Rovesciare questa tendenza non significa rinunciare al pensiero logico o al discorso razionale: significa, piuttosto, diventare consapevoli del pantheon divino che sfila nei nostri pensieri, al di là del nostro controllo e perfino contro la nostra volontà. Vuol dire ritrovare un contatto con le dimensioni più profonde dei pensieri e delle idee, riconoscere il politeismo religioso che non possediamo ma che in effetti ci possiede.

(David Miller, Il nuovo Politeismo. La rinascita degli Dei e delle Dee, Ghibli Editore 2016)

In Eschilo Oreste reintegra la società degli uomini dopo essere stato assolto dal primo tribunale umano istituito ad Atene. Oreste ha deliberatamente ucciso sua madre, ma i suoi difensori possono ricordare che egli ha agito per ordine di Apollo. Non per questo tuttavia la morale umana lo assolve completamente, giacché è Atena, col suo voto, che ristabilisce la parità dei voti in favore e di quelli contro e determina in tal modo la sua assoluzione. (Marc Augé, Genio del Paganesimo, Bollati Boringheri, 1975)

L’urbanizzazione porta il marchio di Atena. E quando l’urbanizzazione si disintegra nel teppismo e nella violenza delle strade, è perché ha dimenticato che persino Atena deve lasciare uno spazio alle Furie

(David Miller, Il nuovo Politeismo. La rinascita degli Dei e delle Dee, Ghibli Editore 2016)